Sandro Veronesi e il cinema. Un fratello regista e due suoi film riportati sul grande schermo. Il rapporto di questo scrittore con questa forma d’arte è molto vivo. Le riprese del film tratto dal suo ultimo romanzo, vincitore del secondo premio Strega “Il Colibrì”, sono iniziate giugno, con la produzione di Fandango con Rai Cinema. La sceneggiatura è firmata da Francesca Archibugi, Laura Paolucci e Francesco Piccolo. Tra gli attori Favino, Smutniak, e Nanni Moretti. Oltre che a Firenze le riprese sono state girate a Roma, Parigi e sulla costa toscana. Veronesi da anni vive a Roma ed è nato a Prato. Lo abbiamo incontrato dopo che la sua città natale gli ha conferito il Gigliato d’oro, la massima onorificenza concessa.
Il dolore troppo spesso nascosto
Veronesi ma perché proprio “Il colibrì’”?
Il colibrì perché è un uccello piccolissimo ma resistentissimo. E’ il simbolo di una resilienza che ci accumuna tutti. Quanta resilienza stiamo dimostrando affrontando questa pandemia? Quanta ne abbiamo avuta nei mesi in cui siamo rimasti chiusi in casa? Il 2020 è stato un anno orribile lo so, nel quale io sono stato perseguitato dalla fortuna simboleggiata da questo uccello leggerissimo e pieno di vita che ha trascinato con sé il romanzo. Anche con la sua simpatia. E’ una creatura che viene onorata anche dove non esiste. Nella nostra fascia temperata non c’è, sta in zone più calde tropicali, eppure anche qui in Italia non c’è citta che non abbia una pizzeria, un hotel un negozio che abbia questo nome.
Il Colibrì è anche il soprannome del protagonista
Esattamente, ho saputo fin dall’inizio che il titolo sarebbe stato quello, perché copriva l’arco della vita del protagonista e di solito i romanzi che narrano una vita prendono il nome o il soprannome del protagonista. Queste energia del colibrì mi ha permesso di fare una cosa importante mentre scrivevo il romanzo: sono andato in cantina e l’ho ripulita dal dolore. Sono andato a cercare il luogo dove c’erano gli avanzi più sgradevoli, più difficili dei precedenti romanzi compreso Caos Calmo. Nel “Il colibrì” non sono scappato dal dolore come ho fatto con Caos Calmo. L’ho preso e l’ho portato in superficie.
Non manca neppure in “Caos Calmo” il dolore
Certo che c’è ma è nascosto. Caos calmo comincia con un lutto, il protagonista salva una persona e poi va a casa e scopre che la moglie è morta di infarto, all’improvviso. Lui per reazione si crea una bolla dove si rifugia, nella quale il dolore non erompe, una bolla malsana. Marco Carrera il protagonista de “il Colibrì” lo prende lo elabora e alla fine spera ancora. Il dolore fa parte di noi importante come lo si rielabora. Il dolore è come gli accendini, si lasciano qua e là, li prendi e non li rubi a nessuno. E’ ovunque non occorre averlo patito direttamente, ma essergli stato vicino, averne avuta notizia in una società nella quale è difficile non avere notizie. Se tu soffri per il dolore di qualcuno diventa anche tuo, non solo di chi ha la primogenitura della ragione per soffrire. Questo dolore si deposita dentro ognuno di noi, diventa nostro e poi si aggrega nella parte più buia di noi stessi.
Sandro Veronesi due volte vincitore del Premio Strega
Ha provato molta emozione per la seconda vittoria del Premio Strega?
Il premio non è stato dato a me ma al libro. Accetto volentieri gli omaggi e i complimenti se sono rivolti al libro e non a Sandro Veronesi, il sottoscritto. Ho saputo fin dal primo momento che stavo facendo qualcosa migliore di me. Mi sono trovato spesso ad un passo da non finirlo, pieno di dubbi e nella nebbia. Svegliavo mia moglie la notte e le dicevo di cercarsi un lavoro al più presto perché io sarei rimasto disoccupato. Certo esageravo ma alle volte quando inizi un’opera più grande e migliore di te c’è il rischio che il tuo atto di fede non venga ripagato e ti giochi tutto. Però a 60 anni mi sono permesso l’incoscienza di un’operazione rischiosa: se non ci riuscivo non ero uno più uno scrittore. E’ andata bene anche perché ho superato i limiti che spesso abbiamo solo nella nostra testa. Quando parli di scrittura non ci sono limiti si tratta di crederci.
Nei precedenti romanzi non ci credeva?
Certo ho sempre avuto molta fede e fiducia nel romanzo che stavo scrivendo al momento, ma lasciavo le cose in cantina, nella zona più buia, non mi sentivo in grado di gestire tutto quello che pure spingeva in me per essere raccontato.
Questa volta il mio gesto di fede è stato scrivere il romanzo nel romanzo. Il romanzo permette di fare tutto anche se passi un periodo in cui non vedi la luce, e solo nebbia. Il romanzo è quel luogo in cui è permesso tutto non c’è nessuna trasgressione, anzi questa è consentita e premiata, Alle volte capita il naufragio totale, la tua ambizione non è ripagata dalla tua scrittura, ma alla mia età e i risultati ottenuti, mi sono voluto concedere il rischio. L’idea di metter al mondo una creatura che fosse meglio di me e che mi sopravviva mi è piaciuta. Come quando fai dei figli, i miei figli mi sopravviveranno e sono migliori di me.
Un romanzo che lancia un messaggio di speranza
Il Colibrì quindi è un romanzo che lascia spazio al diritto di sperare
Si perché il protagonista, anche sotto i consigli di un altro personaggio del romanzo, tradisce la ritualità dell’elaborazione del lutto: vestirsi di nero, mortificarsi, rinchiudersi. Dopo due giorni da una terribile perdita, va a giocare a tennis e viene giudicato male. Nella mentalità corrente chi ha un lutto deve stare un mese o due senza fare nulla, ma se invece si mette a fare quello che gli garba non va bene. E invece quale miglior momento che quello di una perdita per fare quello che ci piace. La nostra cultura occidentale ha una tale idiosincrasia con la morte. Quando la morte si manifesta e ti colpisce ti emargina. Carrera si sottrae e queste logiche, prende una strada diversa, è convinto e mantiene una speranza. Se una persona si ritrova a sperare vuol dire che quella strada è più produttiva che stare in un angolino a recitare la parte rituale scritta per te da una civiltà che con la morte non sa cosa farsene e nemmeno del dolore. Si, il libro apre una strada diversa per reagire al dolore della vita e continuare a sperare.
Valentina Roselli