In occasione della 56^ Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebrata ieri in tutto il mondo, Papa Francesco ha diffuso il messaggio “Ascoltare con l’orecchio del cuore” che è un invito al mondo della comunicazione ad ascoltare la società, diffuso nel giorno che celebra San Francesco da Sales, patrono dei giornalisti.
La capacità di ascoltare la società è quanto mai preziosa in questo tempo ferito dalla lunga pandemia , spiega Bergoglio, perché è tanta la sfiducia accumulata in precedenza verso l’informazione ufficiale” ha causato anche una “infodemia”( Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi ) dentro la quale si fatica sempre più a rendere credibile e trasparente il mondo dell’informazione. Bisogna porgere l’orecchio e ascoltare in profondità, soprattutto il disagio sociale accresciuto dal rallentamento o dalla cessazione di molte attività economiche”.
L’ascolto come condizione della buona comunicazione
Questo un estratto del messaggio del Pontefice: “C’è un uso dell’udito che non è un vero ascolto, ma il suo opposto: l’origliare. Infatti, una tentazione sempre presente e che oggi, nel tempo del social web, sembra essersi acuita è quella di origliare e spiare, strumentalizzando gli altri per un nostro interesse. Al contrario, ciò che rende la comunicazione buona e pienamente umana è proprio l’ascolto di chi abbiamo di fronte, faccia a faccia, l’ascolto dell’altro a cui ci accostiamo con apertura leale, fiduciosa e onesta.
La mancanza di ascolto, che sperimentiamo tante volte nella vita quotidiana, appare purtroppo evidente anche nella vita pubblica, dove, invece di ascoltarsi, spesso “ci si parla addosso”. Questo è sintomo del fatto che, più che la verità e il bene, si cerca il consenso; più che all’ascolto, si è attenti all’audience. La buona comunicazione, invece, non cerca di fare colpo sul pubblico con la battuta ad effetto, con lo scopo di ridicolizzare l’interlocutore, ma presta attenzione alle ragioni dell’altro e cerca di far cogliere la complessità della realtà.
È triste quando, anche nella Chiesa, si formano schieramenti ideologici, l’ascolto scompare e lascia il posto a sterili contrapposizioni.
In realtà, in molti dialoghi noi non comunichiamo affatto. Stiamo semplicemente aspettando che l’altro finisca di parlare per imporre il nostro punto di vista. In queste situazioni, come nota il filosofo Abraham Kaplan, il dialogo è un duologo, un monologo a due voci. Nella vera comunicazione, invece, l’io e il tu sono entrambi “in uscita”, protesi l’uno verso l’altro.