Dal 15 dicembre 2021 al 30 aprile 2022 il Parco archeologico del Colosseo dedica una grande mostra alla figura di Giacomo Boni (Venezia, 1859 – Roma, 1925) nei luoghi in cui l’archeologo e architetto operò principalmente: il Foro Romano e il Palatino.
Curata da Alfonsina Russo, Roberta Alteri, Andrea Paribeni con Patrizia Fortini, Alessio De Cristofaro e Anna De Santis, organizzazione e promozione di Electa, la mostra “Giacomo Boni. L’alba della modernità” si articola in quattro sezioni:
– l’attività archeologica e il museo forense, nel Complesso di Santa Maria Nova;
– la vita di Boni, al Tempio di Romolo;
– la scoperta della chiesa e del ciclo pittorico bizantino, a Santa Maria Antiqua e nella rampa domizianea;
– il contesto culturale e artistico del primo Novecento, nelle Uccelliere farnesiane.
Ne scaturisce la visione complessiva di un uomo che autodidatta, con una formazione di disegnatore nei cantieri veneziani, col tempo diviene archeologo e architetto sviluppando metodi innovativi di scavo – a cominciare da quello stratigrafico –, di restauro e di valorizzazione.
Attento divulgatore delle proprie scoperte archeologiche che rivelano una Roma prerepubblicana e medievale, si dimostra precursore anche nel campo della documentazione degli scavi e della comunicazione nell’utilizzo delle fotografie dall’alto, con l’uso del pallone aerostatico.
Chi era Giacomo Boni
Nato a Venezia Giacomo Boni studiò architettura all’Accademia delle Belle Arti. Nel 1895-1896 fu direttore dell’Ufficio Regionale dei Monumenti di Roma e a partire dal 1898 diresse gli scavi del Foro Romano, a cui a partire dal 1907 si aggiungono quelli del Palatino.
Si interessò di tutela e valorizzazione dei monumenti, promuovendo la creazione nel 1907 del Gabinetto Fotografico Nazionale. Nell’ambito dello scavo seguì il metodo dello scavo stratigrafico: fu il primo, nel 1885, ad applicarlo alle ricerche di archeologia classica, tra i primi si interessò dei materiali rinvenuti negli scavi e della loro collocazione fisica all’interno degli strati; per primo considerò di uguale importanza anche il materiale medioevale, senza privilegiare l’età classica; tra i primi si avvalse di disegni e di fotografie per la documentazione.
Della sua attività di studio e ricerca restano numerosi documenti di archivio presso la Soprintendenza Archeologica di Roma. Alle sue ricerche nel Foro Romano si devono la scoperta del Lapis niger, della Regia, del Lacus Curtius, dei cunicoli cesariani nel sottosuolo della piazza, della necropoli arcaica presso il tempio di Antonino e Faustina e della chiesa di Santa Maria Antiqua. Sul Palatino portò alla luce una cisterna arcaica a tholos, i ricchi ambienti della “Casa dei Grifi” e della cosiddetta “Aula isiaca” al di sotto del palazzo imperiale di età Flavia.
Tra paganesimo e fascismo
Giacomo Boni sviluppò un forte interesse per l’antica religione romana e per una sua eventuale adozione da parte dello Stato. Con Mussolini simpatizzò perché credeva che il fascismo potesse far rinascere l’antica Roma.
Tra i tentativi fatti per restaurare la religione romana vi furono veri e propri riti pagani da lui eseguiti: si ricordano la commemorazione del Lacus Curtius nel 1903 con l’amico Horatio Brown, la purificazione del tempio di Giove Vincitore nel 1916, la costruzione dell’ara graminea sul Palatino nel 1917. Boni approntò anche un programma di celebrazioni per il primo anniversario della marcia su Roma, che prevedeva una serie di cerimonie pagane: Cereris Mundus, Ludus Troiae, Opus Coronarium, Ludi Palatini e Lupercalia.
Le stesse ricerche archeologiche di Boni furono influenzate dai suoi rapporti con l’ambiente esoterico del tempo e da esperienze personali al limite del paranormale: sogni come quello che gli rivelò la scoperta del Lapis niger la notte prima, visioni, voci misteriose. Alla sua morte fu sepolto sul Palatino.